Non servono genitori perfetti, ma autentici: la storia di Coraline

RABBIAPERFEZIONEINTEGRAZIONE

11/3/20251 min read

Questa estate, durante un lungo viaggio in auto, abbiamo deciso di ascoltare la versione audiolibro di Coraline, di Neil Gaiman... fortino direi sul tema paura e derealizzazione, ma davvero interessante. Ricordandoci della presenza del film girato con una tecnica molto particolare abbiamo deciso di vedere anche il film.

E mentre lo guardavamo, mi è tornata una sensazione molto comune (sia da genitore che da terapeuta):
il figlio che a un certo punto non sopporta più i genitori.
Li trova distratti, poco presenti, poco “magici”.
E allora fantastica un altrove. Un mondo “migliore”.
Proprio come Coraline.

E lì entra il cuore psicologico del film:
quell’insoddisfazione così vera e così fragile, di quando sei bambino e inizi a sentire che “non hai abbastanza”.

È una fase dello sviluppo. È un passaggio identitario. È una prova di realtà.

Poi Coraline scopre cosa succede se provi a costruire un mondo alternativo perfetto, in cui le relazioni sono “costruite per soddisfarti” e non per essere reali:
in quel mondo, l’altro non è un altro: ma solo una marionetta.

Ahimè le bambole, restano tali, e non ti nutrono mai davvero.

Il ritorno ai veri genitori, anche con i loro difetti, anche con le loro mancanze, che nel film sono proprio quelle normali mancanze della vita adulta, è un ritorno alla complessità.
E la complessità è il posto dove cresciamo davvero.

Mi capita nei colloqui, nelle terapie familiari:
i genitori a volte sono pieni di colpa perché sentono di non essere “abbastanza”.
E i figli a volte si aspettano un mondo creato su misura.

Coraline lo racconta con intensità e illusioni animate:
si può desiderare altro… ma è nel riconoscere il valore che già c’è, che poi si può amare davvero.

Che è poi il punto chiave:
le relazioni reali non sono “speciali perché perfette”, ma perché ci danno un posto in cui essere veri.

Se questo tema ti riguarda, e senti che in famiglia state attraversando una fase in cui ci si capisce poco (o ci si capisce “troppo velocemente” senza ascoltarsi davvero), lavorarci insieme può aiutare a ritrovare la qualità — senza cercare mondi alternativi.