Neuromante: identità e fuga tra reale e virtuale
RIFIUTOIDENTITÀCONNESSIONE
9/4/20252 min read


Quando ho letto Neuromante, ho avuto la sensazione di trovarmi davanti a un romanzo che parla meno di futuro e più di presente. Case, il protagonista, è un hacker geniale ma distrutto, che cerca nella rete una via di fuga da sé stesso.
La sua vita reale è fatta di solitudine, rimpianti, dipendenza. Nel cyberspazio, invece, è potente, libero, intoccabile.
Questa tensione tra realtà e virtuale mi ha fatto pensare a tanti vissuti che incontro in terapia. A volte cerchiamo rifugio in un mondo alternativo — che sia digitale, immaginario, o fatto di abitudini che anestetizzano — perché la vita concreta è troppo dolorosa. Ma rifugiarsi non significa guarire.
Case non scappa solo dal mondo esterno: scappa soprattutto da sé. Dal fallimento, dal corpo che non regge più, dalla paura di guardare in faccia il vuoto lasciato dalle sue scelte. È un meccanismo che conosciamo bene: l’illusione di controllare tutto in un ambiente protetto, mentre nella vita reale ci sentiamo impotenti.
Se negli anni ’80 il cyberspazio di Gibson era un futuro immaginato, oggi lo viviamo tutti i giorni. Lo scrolling infinito dei social, la dipendenza da stimoli costanti, il rifugiarsi dietro uno schermo non riguarda più solo i giovani: anche adulti e anziani restano catturati in questa spirale. Si entra “per distrarsi un attimo” e ci si ritrova inghiottiti da ore di immagini, video, informazioni che danno la sensazione di esserci, senza però farci sentire davvero presenti.
Eppure, dentro questo viaggio nel virtuale, emerge una domanda psicologica cruciale: “chi sono io, davvero?”
Il virtuale amplifica la possibilità di trasformarsi, ma rischia anche di frammentare l’identità. Case è un uomo sospeso tra il sé distrutto e l’avatar onnipotente: due estremi che non riesce a integrare.
E noi, a volte, ci troviamo nella stessa frattura: tra l’immagine curata che mostriamo online e la vulnerabilità che ci accompagna offline.
Dal punto di vista psicologico, Neuromante ci ricorda che l’identità non è un profilo che possiamo scegliere a piacere, né una maschera da indossare solo quando serve. È un processo di integrazione, in cui corpo, emozioni e relazioni reali hanno un peso che nessuna fuga può cancellare.
Il cyberspazio può sembrare infinito, ma la vera libertà inizia quando non abbiamo più bisogno di scappare da noi stessi.