Momo: ascoltare davvero, in un mondo che corre

ANGOSCIAASCOLTOLIBERTÀ

7/13/20252 min read

Rileggendo Momo, mi ha colpito quanto questo libro, scritto negli anni ’70, parli ancora profondamente al presente. Michael Ende ha creato una favola, certo, ma dentro ci ha messo una delle domande più urgenti che incontro anche in studio: perché ci sentiamo sempre di corsa, ma spesso così vuoti?

Momo è una bambina senza nulla, ma con un dono raro: sa ascoltare. Non nel senso passivo del sentire parole, ma nel senso pieno del creare spazio. Chi parla con lei si sente visto, compreso, accolto. È proprio questa sua capacità che mette in crisi il sistema costruito dagli “uomini grigi” — quei personaggi che rubano il tempo alle persone, convincendole che la produttività è più importante delle relazioni, dei sogni, della lentezza.

A livello psicologico, gli uomini grigi sono una metafora chiarissima: rappresentano quel meccanismo interno (o culturale) che ci spinge a correre sempre, a riempire ogni momento, a misurare il valore della vita in termini di efficienza. È un messaggio che riceviamo fin da piccoli: “non perdere tempo”, “fai qualcosa di utile”, “devi essere performante”. E così iniziamo a perdere contatto con le cose che davvero ci nutrono.

Nel mio lavoro, vedo tante persone che arrivano esauste. Non perché lavorano troppo in senso materiale, ma perché non si fermano mai interiormente. La testa è piena, il tempo è sempre poco, e la sensazione è quella di stare rincorrendo qualcosa che non si raggiunge mai. Proprio come i personaggi del libro che, nel tentativo di risparmiare tempo, smettono di vivere.

Momo non combatte con la forza. Combatte con la presenza. Con la lentezza. Con lo stare. È questo che disarma gli uomini grigi: qualcuno che non ha fretta. Che non ha bisogno di “essere utile” per avere valore. È, in fondo, una metafora potente del lavoro terapeutico: creare uno spazio in cui il tempo è davvero nostro. In cui possiamo ascoltarci, senza cronometri, senza giudizi.

Non serve un’invasione aliena per perdere il contatto con sé stessi. A volte basta solo una vita troppo piena, troppo rumorosa, troppo “funzionale”. Ma il tempo che sentiamo perso, spesso, è proprio quello che potrebbe riportarci a casa.

Se ti è capitato di sentire che stai correndo senza sapere più verso cosa, forse è il momento di fermarti. Non per fare di meno. Ma per ascoltarti di più.