Il problema dei tre corpi: quando perdi fiducia nell’umanità
TRAUMARABBIAPERDONO
7/7/20252 min read


Il problema dei tre corpi di Liu Cixin è un romanzo di fantascienza, certo. Ci sono alieni, fisica quantistica, intelligenze superiori. Ma a colpirmi davvero è stato l’aspetto umano, quasi intimo, nascosto sotto la superficie grandiosa: come reagisce la mente al trauma quando non riesce più a trovare senso nel mondo?
Ye Wenjie è uno dei personaggi più potenti e tragici che mi sia capitato di incontrare in letteratura. Dopo aver visto suo padre morire per mano di un’ideologia cieca, smette di credere nella bontà umana. Ma non solo: smette proprio di considerare l’umanità come qualcosa che merita fiducia. E allora fa una cosa radicale. Contatta una civiltà aliena e, di fatto, apre la porta a un’invasione.
A livello psicologico, il suo gesto estremo è comprensibile. Quando il dolore è troppo grande, troppo precoce, troppo ingiusto, a volte l’unico modo per sopravvivere è tagliare i ponti: con le persone, con il mondo, perfino con sé stessi. Non sempre questo avviene in modo così spettacolare. Ma la spinta è simile: "se mi hanno ferito così, allora non posso più fidarmi. E se non posso fidarmi, meglio distruggere tutto prima che mi distrugga di nuovo."
Anche gli altri personaggi del libro sembrano oscillare tra confusione, impotenza e fuga. La scienza — solitamente alleata del controllo e della razionalità — diventa qui fonte di panico. L’universo, scopriamo, non è un posto ordinato. È caotico, imprevedibile, spietato. E per alcuni questo è insostenibile.
È come se il trauma iniziale (la perdita, il tradimento, la violenza subita) si amplificasse fino a coinvolgere tutto: le relazioni, la società, il futuro. E a quel punto, trovare un senso diventa quasi impossibile.
Non tutti vivono un’invasione aliena, ovviamente. Ma tanti, nei momenti di crisi profonda, si sentono così: disillusi, soli, incapaci di trovare punti fermi. A volte è un lutto, una delusione, una frattura troppo dolorosa che apre la porta al sospetto, al cinismo, o al bisogno di “chiudersi” per proteggersi.
Ed è lì che inizia il lavoro più difficile: ritrovare fiducia in un mondo che, per un po’, è sembrato completamente ostile. Ricominciare a costruire connessioni, lentamente, anche quando si fa fatica a crederci davvero.
Non c’è bisogno di alieni per sentirsi fuori posto. A volte basta solo aver sofferto troppo e troppo presto. Ma se c’è una cosa che questo libro insegna, è che anche nelle fratture più profonde può nascondersi la possibilità di un’altra scelta.