Il Maialino di Natale: perdere qualcosa per ritrovare se stessi

RABBIAANGOSCIAIDENTITÀ

7/20/20251 min read

Mi capita spesso, lavorando con genitori, di sentire racconti su un peluche smarrito, una copertina consumata, un oggetto apparentemente banale che ha dentro un mondo.
Quando ho letto Il Maialino di Natale, ho riconosciuto subito quel tipo di dolore: non è solo un giocattolo che sparisce, è un pezzo di sicurezza, di legame, di infanzia che si sgretola.

Nel libro, Jack perde il suo peluche preferito, Lino, proprio alla vigilia di Natale. Inizia così un viaggio fantastico nel “Paese delle Cose Perdute”, accompagnato dal "nuovo" Maialino di Natale, il suo sostituto. Ma ciò che succede non è solo una fiaba: è una storia che parla della relazione affettiva con gli oggetti che ci aiutano a crescere.

Quello che noi adulti chiamiamo "oggetto transizionale" — Winnicott lo spiegava bene — è quell’orsacchiotto, copertina o pezzetto di stoffa che, per un bambino, rappresenta la continuità del legame affettivo quando la figura di riferimento non c’è.
Non è solo conforto: è identità, è mondo interno.

Nel viaggio per ritrovare Lino, Jack scopre qualcosa di più importante: può sentire affetto anche per qualcosa di nuovo, può dare valore e amore anche a chi non era “quello di prima”.
E questo, psicologicamente, è il cuore del libro: l’elaborazione della perdita.

Perché perdere fa male. Ma se ci viene concesso il tempo, la fantasia, la possibilità di trasformare, allora possiamo imparare a custodire ciò che è stato senza restarne prigionieri.

Anche da adulti, spesso portiamo dentro oggetti invisibili. Un’idea di casa. Un amore finito. Una routine che ci teneva insieme. E quando perdiamo qualcosa, ci sembra di non avere più nulla.
Ma forse, come Jack, possiamo scoprire che qualcosa di nuovo può iniziare ad avere valore, proprio perché sappiamo quanto abbiamo amato ciò che c’era prima.

Lasciare andare non è dimenticare. È trovare spazio per ciò che viene dopo, senza tradire ciò che ci ha fatti diventare chi siamo.