Il giorno dell'ape: la sofferenza non è mai "sola"

IDENTITÀAPPARTENENZARIFIUTO

12/8/20253 min read

C’è un tipo di libro che non ti lascia andare, anche dopo che l’hai chiuso.
Ho appena finito Il giorno dell’ape di Paul Murray, vincitore del Premio Strega Europeo 2025 (un riconoscimento prestigioso che celebra la narrativa europea di qualità), e devo dire che si sente la differenza rispetto a molti libri che leggo solo per rilassarmi o “staccare la spina”.

È un romanzo potente, corposo, che ti tiene agganciato non perché sia un thriller, ma perché racconta con straordinaria precisione come la sofferenza di una persona non sia mai un fatto isolato, ma emerga nel contesto familiare, in una rete di relazioni che si intrecciano e si trascinano da anni e generazioni.

Una delle scelte narrative più interessanti di Murray è l’uso della seconda persona singolare nella narrazione. Questo non è un espediente formale innocuo: ti costringe, ti obbliga a immergerti nella pelle del protagonista, a sentire le scelte, i pensieri, i dubbi non come osservatore ma come co-spazio psicologico. È un modo forte di far convergere il lettore e il personaggio in un’esperienza emozionale condivisa.

Ma quello che accade strada facendo è sottile e sorprendente. All’inizio sembra che sia la prospettiva di una ragazza ad emergere, ma nei capitoli successivi l’angolazione cambia: leggiamo i capitoli dal punto di vista del fratello, poi della madre, poi del padre. In questo modo scopriamo che non esiste un solo dolore, una sola versione della storia, una sola voce valida per “decifrare” gli eventi.

E in questo c’è un elemento psicologicamente importantissimo: non puoi allearti con un singolo protagonista se vuoi capire il nucleo emotivo profondo di una storia familiare.
Ci si può alleare solo con il dolore condiviso che attraversa tutti.

Questo modo di raccontare rimanda a ciò che in psicologia chiamiamo dimensione trigenerazionale del dolore: le ferite di una famiglia non nascono dal nulla nel figlio o nella madre di turno, ma spesso hanno radici profonde, che affondano nei nonni e nelle esperienze – traumatiche o meno – della discendenza. La sofferenza che leggiamo nei personaggi di Murray ha un peso che deriva non solo da un evento presente, ma da catene emotive che si sono stratificate nel tempo.

Leggendo, ti rendi conto di quanto sia illusorio cercare un “colpevole singolo”, o un punto di rottura netto. In molte storie semplificate – come nella nostra mente quando cerchiamo spiegazioni rapide – si è tentati di identificare un evento o una persona responsabile. Murray invece mostra che la sofferenza è stratificata, condivisa, interconnessa: non è mai solo “il dolore di uno”. È il dolore di tutti, che si riflette e rimbalza tra più punti di vista.

E qui entra la bellezza, e anche la difficoltà, della vita familiare reale: non si tratta di trovare un colpevole, ma di prendersi cura di un sistema di relazioni dove ciascuno porta il suo pezzo di storia, di ferita, di risorsa, di memoria. Qualcosa che si costruisce, si trasmette e si fa pesare o si attenua attraverso i modelli di comunicazione e di attaccamento.

Il romanzo è un tour de force perché ti mette di fronte a tutte queste verità in modo diretto, senza didascalismi, con personaggi che insieme ridono, soffrono, si disperano e si scontrano continuamente. Non è solo la storia di una famiglia nei guai economici o esistenziali; è una riflessione su come e perché il dolore non appartiene mai a una persona isolata, ma circola tra le relazioni, si sedimenta, e richiede una risposta che sia collettiva oltre che personale.

È un libro che — nella sua apertura alla pluralità di prospettive — ci ricorda che la sofferenza non è una linea retta che possiamo capire guardando un solo lato della storia. Per comprenderla davvero, dobbiamo considerare la molteplicità dei punti di vista, le eredità emotive e le tensioni condivise che tengono insieme una famiglia.

E se senti che, nella tua storia o nella tua famiglia, ci sono dolori che sembrano “solo tuoi”, può essere utile ricordare questo: non c’è un percorso unico o un protagonista isolato da cui guardare la sofferenza. La sofferenza è un fenomeno relazionale, e spesso si dissolve, o si trasforma, solo quando la si guarda dal centro delle relazioni che la tengono in vita.

Il giorno dell’ape non è un romanzo facile. Ma è uno di quei libri che rimangono dentro, che ti costringono a guardare oltre la superficie delle singole emozioni e a considerare la rete di vissuti che lega ogni membro di una famiglia all’altro. Se ti interessa esplorare con più profondità come si intrecciano storie familiari e vissuti emotivi, e come si può “prendere in carico” questo dolore relazionale senza semplificare, nei miei spazi (sia in studio sia online) possiamo farlo insieme.


*un grazie alla collega, coterapeuta di tanti percorsi di coppia e familiari, che me lo ha messo sotto il naso!