Gravity: quando la motivazione diventa un motore inarrestabile
PERDITÀDIALOGO INTERNOMOTIVAZIONE
9/10/20251 min read


Ho rivisto di recente Gravity, e mi sono reso conto che, tra tutti i film di fantascienza che ho visto, questo rimane il mio preferito. Non tanto per gli effetti speciali — che sono incredibili — quanto per quello che racconta sul potere della motivazione silenziosa e sul dialogo interno che ci guida nei momenti impossibili.
Ryan Stone è sola nello spazio, sospesa tra vuoto e gravità, tra morte imminente e sopravvivenza. Ma ciò che la tiene in vita non è la tecnologia, né la fortuna: è quel filo interno, quella spinta motivazionale che esiste anche quando non ne siamo pienamente consapevoli. Ogni piccolo movimento, ogni decisione, nasce da un dialogo con sé stessa che diventa forza e strategia.
In psicologia questo concetto è noto da tempo. Milton Erickson, che ho studiato a lungo, parlava dell’inconscio come una risorsa preziosa, un luogo da cui possiamo attingere competenze, intuizioni e coraggio. Non più come una “cantina” di paure e traumi nascosti, come la vedeva il modello freudiano, ma come un alleato silenzioso che ci permette di compiere cose incredibili.
E Gravity illustra perfettamente questo principio: il lutto che Ryan ha vissuto per la perdita della figlia molti anni prima della missione non è solo dolore. Diventa motivo, risorsa, carburante per continuare a muoversi e a sopravvivere. È la prova che anche la sofferenza può trasformarsi in spinta positiva se riconosciuta e canalizzata.
Per me, questo è il cuore del film: la fisica può essere mortale, lo spazio può essere vuoto e spaventoso, ma la motivazione interna, quando la percepiamo e la lasciamo agire, può renderci capaci di miracoli. È un messaggio che vale tanto nello spazio quanto nella vita quotidiana.
Gravity non è solo un film di fantascienza: è una lezione su quanto il nostro inconscio e la nostra motivazione possano sostenerci, anche quando tutto sembra impossibile.